In materia di criminalità di impresa, l’Italia negli ultimi venti anni ha tentato di migliorarsi, abbattendo dogmi prima ritenuti insuperabili. Guardando ed imparando da Paesi più virtuosi ed introducendo istituti un tempo a noi del tutto sconosciuti.
La criminalità di impresa altera il mercato e la concorrenza.
Essa compromette la giustizia, i diritti umani e la fiducia nelle istituzioni. Allontana gli investitori, incrementando i costi per la società.
In Italia la spinta verso il cambiamento non è avvenuta in maniera spontanea, ma è stata il frutto del recepimento di impulsi internazionali ed europei verso il suo abbattimento e verso la lotta a dilaganti fenomeni di malcostume societario, che portavano ad agire sul mercato con una delinquenziale disinvoltura.
Il D.lgs. 8 giugno 2001, n°231 ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità diretta delle persone giuridiche, pubbliche o private, per reati commessi a loro interesse o vantaggio.
Il D.lgs. n°231/2001 ha segnato una svolta epocale, una rivoluzione copernicana, poiché è riuscito ad abbattere uno dei principi cardine del diritto penale italiano, sino ad allora ritenuto una roccaforte inespugnabile: “societas delinquere et puniri non potest”.
In tale brocardo è racchiuso il desueto convincimento che nessuna condotta criminosa può essere imputabile ad un ente collettivo.
Abbattendo tali dogmi e superando le più disparate incertezze della giurisprudenza e della dottrina, “il Legislatore ha aperto le porte del pianeta processuale penale a questi non umani abitanti”, per dirla con Francesco Sbisà.
È stata così introdotta una responsabilità autonoma e diretta degli enti per taluni specifici reati commessi a loro interesse o vantaggio, da soggetti qualificati inseriti nell’organizzazione.
A tale rivoluzione si è giunti in forza del doveroso recepimento da parte dell’Italia di obblighi pattizi cui essa stessa aveva aderito. In particolare, vanno ricordati a livello europeo la Convenzione di Bruxelles del 1995 per la tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee (Convenzione P.I.F.) e il 2° Protocollo sulla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee del 1997. Sul piano sovranazionale, invece, la spinta decisiva è stata fornita dalla Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione dei PP.UU. stranieri nelle operazioni internazionali, siglata a Parigi nel 1997.
Tali fonti sovranazionali, lasciando ampia libertà nella scelta delle forme di accertamento della responsabilità delle persone giuridiche, si sono limitate a richiedere l’introduzione di previsioni incriminatrici per le imprese.
La Convenzione OCSE, ad esempio, lapidariamente invitava gli Stati aderenti ad “introdurre misure necessarie a stabilire la responsabilità delle persone morali”, per l’ipotesi circoscritta di corruzione di un pubblico ufficiale straniero.
Viene così alla luce il D.lgs. n°231/2001, in virtù della Legge Delega n. 300/2000, il quale, lungi dall’introdurre a carico delle imprese una responsabilità squisitamente penale, stante le difficoltà che ciò avrebbe comportato, dà luogo, come si legge nella relazione ministeriale di accompagnamento, a un terzo genere di responsabilità, che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo.
Tesi questa che è stata sposata anche dalle SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione, che, nella sentenza n°38343/2014, sul caso Tissenkrupp afferma l’autonomia del corpo normativo introdotto con il D.lgs. n°231/2001 e la nascita di una responsabilità “ibrida”.
Bibliografia
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Caringella – De Palma – Farini – Trinci , Manuale di diritto penale – parte speciale , Dike Giuridica Editrice, VI edizione
Francesco Sbisà (a cura di), Responsabilità amministrativa degli enti, Wolkers Kluwer editore, 2017
Presutti – Bernasconi, manuale della responsabilità degli enti , Giuffrè editore, seconda edizione
Manna (a cura di) – corso di diritto penale dell’impresa – Cedam – 2018
Arena – La responsabilità amministrativa delle imprese, Nuova Giuridica , 2015
Strazzeri – Manuale Pratico Anticorruzione e Guida alla norma ISO 37001.